Il rischio di infettarsi è di tre o quattro volte superiore a chi effettua la dialisi peritoneale o è portatore di trapianto
I pazienti con malattia renale cronica che necessitano di trattamento sostitutivo con dialisi sono sensibilmente a rischio contagio perché si trova costretto ad accedere ad una struttura ospedaliera per effettuare la seduta di dialisi, anche fino a tre volte la settimana, con una permanenza media di 4/5 ore al giorno, con spazi condivisi con altri pazienti e a diretto contatto con il personale medico sanitario. Effettuando la dialisi in ospedale, il rischio di infettarsi e' di tre o quattro volte superiore a chi effettua la dialisi peritoneale o è portatore di trapianto.Per i trapianti vi è stato un freno nel periodo più difficile della pandemia, ma subito dopo l'attività è ripresa a livelli quasi simili al normale.
"I dati raccolti - evidenzia il dottor Giuliano Brunori (nella foto), presidente Sin - dimostrano che seppur nel periodo caldo non abbiamo fermato del tutto l'epidemia, però siamo riusciti a contenerne in modo importante la diffusione evitandone gli effetti nefasti in una popolazione non giovane (l'età media dei pazienti italiani in dialisi extracorporea è 71 anni) e gravata da una malattia cronica, quale l'insufficienza renale. Quello che appare evidente è la conferma della necessità di potenziare a tutti i livelli la dialisi peritoneale e la dialisi extracorporea domiciliare, oltre alle attività che permettono il trapianto di rene (sia da donatore deceduto che da donatore vivente) con l'attivazione di programmi e risorse che mettano nelle condizioni i pazienti di gestire la dialisi a casa loro". "La pandemia-aggiunge il professor Piergiorgio Messa, presidente eletto Sin- pone la necessità di dare nuovo impulso a tutti i livelli ai programmi di telemedicina, dell'Health Technology Assessment e dell'Intelligenza Artificiale"
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